Carisp Cesena, fare chiarezza sul recente passato

Assemblea dei soci della Cassa di Risparmio di Cesena al Carisport, domenica 3 luglio 2016L’aumento di capitale della Cassa di Risparmio di Cesena, operazione che ha portato il valore delle azioni dell’istituto a 50 centesimi dai 14-16 euro precedenti, ha rappresentato per molti un colpo durissimo.

Lo è stato di certo per i piccoli azionisti che, con titoli spesso ereditati dai padri o dai nonni, si ritrovano oggi in mano azioni dal valore quasi nullo. Stessa sorte è toccata alle Fondazioni bancarie che, da azioniste di maggioranza della Cassa, passano a percentuali di partecipazione insignificanti. Avrebbero dovuto comunque perdere il controllo della banca entro 5 anni, secondo quanto concordato tra ministero dell’Economia e Acri, ma farlo in questo modo è stato assai traumatico.

A detta dei nuovi vertici della Carisp, insediatisi nel febbraio scorso, il varo di un maxi aumento di capitale era indispensabile per accantonare somme a copertura dei prestiti “in sofferenza”. Solo così il Fondo interbancario di Tutela dei depositi (partecipato dalle maggiori banche italiane e nuovo azionista di maggioranza) sarebbe potuto entrare in gioco.

Il sacrificio degli azionisti è stato ricompensato da una banca dai conti finalmente in salute e con indici patrimoniali e di copertura di eccellenza a livello nazionale. Una situazione che garantisce i correntisti, le aziende sane con prestiti in corso, il futuro dei dipendenti, tutti soggetti che sarebbero usciti con le ossa rotte da un eventuale fallimento.

Eppure resta la ferita legata al crollo del valore delle azioni. Dai dati illustrati all’assemblea dei soci dalla presidente Catia Tomasetti, qualche giorno fa, è emersa una tendenza assai significativa: i prestiti concessi a clienti diventati insolventi sono stati decisi tre volte su quattro direttamente dai vertici dell’Istituto di credito (Consiglio di amministrazione 40,2%, Comitato esecutivo 33,5%). Il resto sono opera della Direzione generale (10%), Direzione crediti (9,9%) e solo il 6,4% della rete delle agenzie.

Questi crediti si sono concentrati in primo luogo nel settore immobiliare e delle costruzioni che, da solo, pesa per il 40% sul portafoglio crediti della Crc. Uno sbilanciamento attuato nonostante i segnali di crisi e nonostante le banche concorrenti avessero una concentrazione nel settore pari a circa la metà della Carisp.

Per questo è estremamente importante fare chiarezza, con un’operazione di totale trasparenza sui beneficiari degli affidamenti non restituiti, sui criteri che hanno portato a concedere questi prestiti, sull’eventualità che qualcuno abbia utilizzato posizioni di privilegio per favorire interessi propri o a sé prossimi. In questo senso, l’azione di tutela attivata a suo tempo dalla Fondazione faentina, unitamente a quella odierna, potranno aiutare a dare una risposta a queste domande.

Bisogna rilevare, infine, come altre banche locali nel recente passato si siano aperte ad alleanze di ampio respiro, se non a vere e proprie fusioni, mentre allo stesso tempo i vertici della Cassa di Risparmio di Cesena hanno scelto di rimanere chiusi nel loro orticello, limitandosi a fagocitare la Banca di Romagna, pur avendo la possibilità di agire in modo diverso. Anche su questo occorrono risposte franche e complete, un dovere nei confronti degli azionisti e dell’intero territorio.

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